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7 dicembre 2009 1 07 /12 /dicembre /2009 17:34
Migliaia di agricoltori organizzati dalla CIA-Confederazione Italiana Agricoltori a bordo dei loro mezzi, lungo le principali arterie del Paese denunciano, in concomitanza dei periodi di raccolta, il continuo levitare dei costi di produzione agricola a fronte del costante decremento dei prezzi di vendita dei prodotti.

                Conseguenza della innegabile contrazione dei redditi, denuncia la categoria, è l’ulteriore ridursi delle quantità di produzione vendibile e del valore aggiunto ricavabile.

Al netto delle gravi speculazioni parassitarie gravanti sulla lunga filiera agroalimentare, che se pure originano dal basso prezzo sui campi, dispiegano i loro reali effetti nefasti sui prezzi al consumo.

                La generale situazione di difficoltà, denunciano gli agricoltori, è infine aggravata dall’ulteriore furto di valore aggiunto compiuto alla distribuzione, da prodotti alimentari provenienti dai più diversi paesi o contraffatti, fraudolentemente offerti come italiani.

 

Una condizione che espropria l’agricoltore da qualsivoglia ruolo nella determinazione del prezzo di vendita dei prodotti, ancor meno nel processo di trasformazione agro-industrale  in cibo l’acquirente.

                Questa mortificazione del valore dei lavori esercitati in agricoltura, che crea tensioni sociali rilevanti, è scarsamente esplicita nelle piattaforme della categoria.

A leggerle queste piattaforme sostanzialmente uguali, distinte solo nelle procedure di mobilitazione con più consistente Coldiretti, espongono un unico reale obiettivo: l’intervento finanziario pubblico in agricoltura.

Alle competenze di Regioni, Ministeri, Governo nazionale e Comunità Europea è chiesto: incremento finanziario del Fondo nazionale di solidarietà; invarianza della pressione fiscale, sgravi e incentivi tributari e contributivi; eliminazione di accise ed Iva su gasolio agricolo; proroga delle agevolazioni contributive; ripristino dei finanziamenti dei contratti di filiera; la chiusura dei corridoi verdi che consentono l’importazione di ortofrutta, olio, vino, latte; il ripristino dei dazi sul grano duro; erogazione di aiuti di Stato fino a 15mila euro per azienda, ecc. ecc.

                Più  precisi gli intenti imprenditoriali di Confagricoltura, nel realizzare più consistenti livelli di concentrazione - possesso delle aree coltivabili, in presenza dell’oggettiva crisi di conduzione attraversata delle aziende di piccola dimensione ed a conduzione familiare.

E’ rivendicato infatti, il rinnovo del pacchetto di agevolazioni fiscali per l’acquisto e l’ampliamento della proprietà coltivatrice e per gli allevatori che acquistino quote latte; nonché aiuti  supplementari per i bieticoltori che intendano diversificare le loro attività produttive e nuovi crediti all’export.

Per tutti rimane valida ,infine, la perorazione a sospendere le procedure di riscossione dei vecchi crediti e la contestuale richiesta di accesso a nuovi crediti a tassi agevolati, ecc. ecc. ecc..

                Poco o null’altro sembrerebbe rimanere, nelle mobilitazioni di questi giorni, delle altre rilevanti problematiche caratterizzanti questo primario comparto dell’economia nazionale e mondiale, oltre alle declaratorie di principio, sull’indiscutibile contributo offerto alla manutenzione dei complessi ecosistemi ambientali coinvolti e delle specie più particolari della fauna e della flora.

Oltre l’assieme di interessi a mantenere inalterati e protetti i luoghi produttivi dell’agri-turismo e delle particolarità della produzione agricola familiare, specialmente per le preziose nicchie di prodotti e metodi di conservazione della profonda tradizione contadina.

                C’è invece, un’altrettanto rilevantissima questione, tanto macroscopica quanto colpevolmente sottaciuta dalle più parti in causa, che sintetizzo nel modernissimo logo antico de: “ il proletariato non ha nazione”.

                Nessun altro comparto dell’economia globale come quello agricolo, infatti, rende evidenti in forme così dirette ed esplicite, tutti i fenomeni di depressione salariale e di distruzione del mercato del lavoro in atto, sia nei paesi avanzati come il nostro, sia in quelli non sviluppati e da cui ci si vorrebbe addirittura difendere, con indecenti rivendicazioni protezioniste e di respingimento di uomini e prodotti alimentari.

                Le forme materiali ed immateriali con cui si è andata estendendo la povertà, ulteriormente precipitate in questi ultimi decenni, sono state tanto irrompenti e pervasive da costringerci oggi, ad interrogarci sul destino dell’umanità, banalmente intesa come sostantivo contrapposto alla disumanità.

                Per la grande maggioranza dei lavoratori dipendenti addetti all’agro-industria questa condizione è una realtà incontestabile, sia laddove essi producono alimenti per i ricchi di altri paese e non hanno di che mangiare, sia in Italia dove permangono sacche di consuetudini all’ illegalità diffusa: dal caporale-collocatore al sottosalario strutturale a connotazioni neo-schiavistiche per lavoratori comunitari o extra-comunitari che siano. Accanto a vaste aree di produzione ortofrutticola, vessate da una lunga filiera di intermediazioni commerciali ad altissimo tasso criminale.

                Alcuni esempi possono meglio far comprendere il valore delle questioni in gioco.

Il primo, non proveniente dal terzo mondo, è dato da un recente studio del sindacato dei lavoratori agricoli degli Stati Uniti, l’ United Farm Workers.

Ogni mela prodotta negli Usa viene tagliata a fette, venduta e mangiata da tutti tranne coloro che la coltivano, sicché per 1 dollaro incassato dalle mele, 4 centesimi di dollaro vanno al lavoratore; 7 centesimi all’agricoltore; 21 centesimi al grossista ed al trasportatore; 68 centesimi vanno al distributore che di solito si chiama Wal-Mart o Safeway.

                Il secondo viene dall’antica sapienza contadina delle terra della Puglia dell’olivo.

Fino a qualche decennio fa il prezzo di un chilo di olio era considerato equo, se uguale a quello di un chilo di carne bovina ed a quello di un chilo di formaggio pecorino.

Oggi sono evidenti le differenze di prezzo al consumo tra questi prodotti ed il prezzo corrente dell’olio d’oliva, oggetto e soggetto di  pesanti speculazioni multinazionali, compiute dal cartello delle tre aziende italiane leader nel settore. Altrettanto nota è la cronaca quotidiana su chi sono, da dove vengono, dove e come vive, la stragrande parte dell’umanità addetta alla raccolta di questi prodotti.

                Dobbiamo dunque, immediatamente riprendere, noi Comunisti Italiani anche nella Federazione della Sinistra, un lungo lavoro di rilettura politica dei rapporti sociali e di produzione esistenti, nelle differenti zone agricole del Paese.

                E’ necessario ricomporre fattori generali e fattori specifici territoriali, in una piattaforma politica, sociale e rivendicativa, sostenibile per parti da tutti i soggetti attivi della produzione agro-alimentare.

                E forse, proprio a partire dalle attuali rivendicazioni degli agricoltori e dei lavoratori per conseguire il giusto riconoscimento all’equità sociale, vanno poste le questioni del reddito d’impresa e del reddito da lavoro dipendente affinchè entrambi operino a garantire sia l’affermazione dei diritti al lavoro che quelli relativi alla qualità, sicurezza, salubrità e fruibilità a tutti, di prodotti e cibi.

News Comitato Regionale
Scritto da Franco De Mario   
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